Sabato 5 Giugno 2021 dalle 19.00 alle 20.30
Le sei leggende, tra vampiri, delitti, mummie e misteri
Bologna, 5 giugno 2021, ore 19: Le sei leggende (anche on line). Enigmi, segreti e gialli del capoluogo emiliano…
Le sei leggende: alla scoperta di Bologna e del suo centro storico, attraverso uno scenario unico…
È antico il fascino di Bologna. Come un’ombra, percorre da secoli i vicoli del centro storico, i monumenti e i portici che hanno reso celebre nel mondo la città. Tutti conoscono la Bologna “dotta”, “grassa” e “turrita”, ma solo in pochi conoscono i segreti, gli enigmi e i gialli del capoluogo emiliano…
Sono innumerevoli i misteri custoditi dagli antichi portici della città di Bologna, così come le storie insolite che si raccontano all’ombra dei suoi vicoli medievali. Città dalla vocazione culturale e multietnica, sede della prima università del mondo, Bologna è una città ammantata di un fascino arcano. Un set perfetto, insomma, per raccontare gli enigmi e i segreti, nascosti dietro ad alcuni monumenti del centro storico…
PRIMA TAPPA: CORPUS DOMINI O CHIESA DELLA SANTA…
Costruito fra il 1477 e il 1480 dai toscani Nicolò Marchionne da Firenze e Francesco Fucci da Doccia, il Corpus Domini è uno dei santuari più cari alla devozione popolare. L’edificio è conosciuto anche con il nome di “Chiesa della Santa” in quanto in esso è conservato il corpo di Santa Caterina de’ Vigri, fondatrice nel 1456 del primo convento di suore Clarisse a Bologna. Il corpo della Santa, che visse nel convento fino alla sua morte, si conserva incorrotto nella cappella da più di cinquecento anni. L’edificio presenta una bella facciata rinascimentale, unico elemento rimasto della costruzione originale, la cui parte grezza è ravvivata da eleganti rilievi in terracotta attribuiti a Sperandio da Mantova. La chiesa fu totalmente ristrutturata nel 1687 dall’architetto G. Giacomo Monti, che decise di decorare l’interno attraverso splendide pitture di M. Antonio Franceschini, ornati di Enrico Haffner e rilievi in stucco di Giuseppe Mazza: purtroppo i bombardamenti dell’ultima guerra hanno fatto in gran parte scempio di questo prezioso apparato artistico.
Degni di nota alcuni dipinti del Franceschini, tra cui il famoso Transito di S.Giuseppe (1692), e di Lodovico Carracci nonché la tomba del fisico Luigi Galvani e di Laura Bassi, celebre donna-scienziato del secolo XVIII.
SECONDA TAPPA: LUIGI GALVANI, IL FRANKENSTEIN ITALIANO…
Sapevate che il celebre romanzo “Frankenstein” è basato su fatti realmente accaduti? Mary Shelley trasse ispirazione da alcuni esperimenti che furono condotti proprio dal bolognese Giovanni Aldini, professore e ricercatore di fisica presso l’Università di Bologna. Nato nel 1792 a Bologna e nipote del noto Luigi Galvani, Giovanni seguì le orme dello zio nello studio degli effetti degli stimoli elettrici sui cadaveri: il fenomeno del galvanismo. Aldini organizzava rappresentazioni macabre e raccapriccianti, durante le quali faceva aprire gli occhi e la bocca a teste di animali e contrarre arti a corpi decapitati, applicando la corrente elettrica.
Egli era convinto che con l’elettricità fosse possibile risuscitare un cadavere, ma per tentare l’esperimento gli occorreva un corpo intero e in buono stato. Normalmente si serviva dei corpi dei condannati a morte, ma dato che in quasi tutti gli stati europei le esecuzioni avvenivano per decapitazione, nel 1803 Aldini si recò a Londra, dove l’impiccagione gli poteva garantire cadaveri interi. Trovato il prigioniero adatto ne attese la condanna a morte: George Forrest, probabilmente innocente, fu accusato dell’omicidio di moglie e figlia e si racconta che Aldini comprò i giudici per giudicarlo colpevole. Non appena fu eseguita la sentenza prelevò il cadavere per i suoi esperimenti in pubblico, dando vita a uno dei suoi spettacoli più teatrali, tanto riuscito che il suo assistente morì d’infarto la notte stessa. Applicando elettrodi in varie parti del corpo fece sollevare al cadavere le braccia e le gambe, aprire la bocca e gli occhi, sollevare il petto come in un profondo respiro. Gran parte del pubblico credette che il cadavere fosse risuscitato, sia pure per breve tempo.
TERZA TAPPA: ORATORIO DEI BATTUTI…
L’Oratorio dei Battuti si trova nel Complesso di Santa Maria della Vita, nel ventre della città, ilQuadrilatero, alle spalle di Piazza Maggiore dalla quale vi si accede attraversando la scenografica facciata del Palazzo dei Banchi. Quest’area è caratterizzata da un dedalo di stradine che ricalca l’antica pianta romana della città. Il visitatore che vi entra, si trova immerso nel ventre di Bologna la grassa: botteghe, spesso prive di porte, espongono la loro merce su banchi protratti all’esterno dell’entrata; l’amore per il cibo prorompe in colori e profumi. La nostra meta è in via Clavature, il nome, come tutte le stradine del Quadrilatero, trae origine dalle botteghe presenti in epoca medievale. Allora, quando questa era una delle vie principali della città, attraversata da papi, principi e imperatori, vi lavoravano i fabbri che costruivano chiavi e serrature, Ciavadùr in dialetto bolognese, (Serratura, dal lat. medioevale clavatura. Modena, 1244). Nel 1260 il perugino Riniero Barcobini Fasani, decide con ventimila seguaci di dirigersi a Bologna, ispirato alla missione dalla Vergine Maria. Qui, nel 1275 Riniero fonda la Confraternita dei Battuti Bianchi, detti anche Devoti Flagellanti, e insieme ai bolognesi Bonaparte Ghisileri e alla terziaria Francescana Suor Dolce, organizza un ospedale per la cura e l’assistenza di infermi e pellegrini. Nascono così l’Ospedale, la Chiesa e la Confraternita dedicate a Santa Maria della Vita: un capitolo importante della storia della assistenza dal momento che ospitò uno dei primi ospedali cittadini pubblici. L’Oratorio è nato ad opera della Confraternita dei Battuti ed era la sede, collegata ma indipendente rispetto al Santuario e all’Ospedale, in cui si riunivano in forma strettamente privata i membri della Confraternita, per dedicarsi a quelle pratiche religiose, devozionali e penitenziali che erano alla base del movimento stesso. Nelle sue forme attuali, questo prezioso esempio del primo barocco bolognese, è esattamente come fu ideato in occasione del rifacimento, all’inizio del XVII secolo, del precedente edificio quattrocentesco.
Tra il 1604 ed il 1617, su progetto dell’architetto bolognese Floriano Ambrosini e con la supervisione dei lavori affidata a Bonifacio Socchi, l’aula fu completamente ricostruita. Giulio Cesare Conventi ed Antonio Martini furono invece autori degli stucchi e dei rilievi decorativi.
Del precedente oratorio vennero conservate e ricollocate due importanti opere cinquecentesche: il gruppo in terracotta realizzato tra il 1519 e il 1522 da Alfonso Lombardi di Ferrara e raffigurante un episodio dei funerali della Vergine, il Transito, e la pala d’altare, Madonna col Bambino e santi, eseguita nel 1564 da Giovanni Francesco Bezzi detto il Nosadella. I lavori di decorazione si sono conclusi nel 1639, come ricorda la data dipinta nella nicchia che ospita il Transito della Vergine, dove compare anche il nome del finanziatore: il conte Giovanni Pepoli, a testimonianza del legame intercorrente tra la Confraternita dei Battuti ed alcune delle più importanti famiglie bolognesi. Il Transito, formato da 15 statue in terracotta poco più grandi del naturale, rappresenta il momento di massima tangenza dello scultore con il mondo romano e, soprattutto, con Raffaello. Rispetto ad altri celebri oratori cittadini, quello dei Battuti prevede l’uso dell’affresco solo per la cappella, le volte e la cupola dell’altare, mentre le pareti ed il soffitto dell’aula sono destinati ad accogliere dipinti su tela di diverse dimensioni, scelti in base ad una specifica chiave di lettura, volta a coniugare il Culto Mariano con quello del Beato perugino. I soggetti delle opere vennero infatti definiti da un preciso programma iconografico redatto dai membri della Confraternita nel 1618, come testimoniano i documenti d’archivio. Lo prova la tela rinascimentale del Nosadella che adorna l’altare: a tre secoli di distanza dalla sua missione, il Beato umbro viene proposto ai piedi della Madonna, in un’immagine che mira ad unire idealmente la pratica della sua flagellazione con la passione di Cristo, ed è confortato dai Santi Apostoli Giacomo, Pietro e Paolo, assieme a San Girolamo, considerato il padre della Chiesa di lingua latina. Con le riforme napoleoniche del 1796-97, i beni della Confraternita vengono espropriati e diventano pubblici. Completamente restaurato nel 1997, vi è stato recentemente annesso il Museo della Sanità e dell’Assistenza della città di Bologna.
QUARTA TAPPA: L’ANTICO GHETTO EBRAICO…
L’antico ghetto ebraico, in pieno centro medievale, conserva ancora oggi la sua struttura originaria. Un dedalo di viuzze e passaggi sospesi, ponti coperti e piccole finestre che racconta la storia di un’intera comunità, costretta a vivere in un’area specifica delle città italiane dallo Stato della Chiesa a partire dal 1556. Gli ebrei di Bologna vissero qui fino al 1569, quando furono espulsi una prima volta, e poi nuovamente tra il 1586, quando fu loro permesso di rientrare in città, e il 1593, anno della cacciata definitiva: 900 persone lasciarono Bologna e per oltre due secoli non fu permesso a un gruppo ebraico organizzato di viverci. Diversi erano gli ingressi al quartiere, tutti costantemente sorvegliati, aperti al mattino e sigillati al tramonto: uno all’inizio di via de’ Giudei, un altro all’incrocio tra via del Carro e via Zamboni, un terzo in via Oberdan in corrispondenza dell’arco che dà su vicolo Mandria. Il ghetto è certamente una delle zone più interessanti e suggestive dell’intero tessuto urbano, definita dai muri di palazzi appartenuti a ricchi mercanti e banchieri ebrei e animata da botteghe artigiane.
QUINTA TAPPA: OSTERIA BUCA DELLE CAMPANE…
L’Osteria Buca delle Campane ha sede in un palazzo che risale al XIII secolo, nell’antica via Bagnaroli, così chiamata poichè a quei tempi vi abitò una famiglia di questo nome. Il 5 marzo 1478 lo stabile fu acquistato da Giovanni di Musotto Malvezzi per lire 60. Il giovedì del 27 novembre 1488, sulle ore 18, in tale palazzo fu scoperta una congiura ordita da Giovanni Girolamo, Filippo di Battista Malvezzi e i loro amici, i quali volevano uccidere Giovanni Bentivogli e tutta la sua famiglia. Nel 1501 vi fu alloggiato l’Ambasciatore di Francia diretto a Firenze. Ai primi del ‘600 la via prese il nome di “via delle Campane”, poichè nella vicina chiesa di San Giacomo esisteva una fonderia di campane dal 1548, da cui deriva il nome dell’Osteria. Intorno al 1628 lo stabile passò sotto la proprietà della famiglia Lambertini Pollicini. In una stanza al pianterreno nacque il 31 marzo 1675, Prospero Lorenzo di Marcello Lambertini, destinato poi a diventare, il 30 aprile 1731, Vescovo di Bologna, poi il 17 agosto 1740 divenne Papa Benedetto XIV. Alla fine del 1800, l’antico palazzo fu acquistato dalla famiglia Marconi, dalla quale discende il celebre scienziato Guglielmo Giovanni Maria Marconi. Fisico e inventore italiano, Marconi è conosciuto in tutto il mondo per aver sviluppato per primo un efficace sistema di comunicazione con telegrafia senza fili via onde radio che ottenne una notevole diffusione: evoluzioni di tale sistema portarono allo sviluppo dei moderni sistemi e metodi di telecomunicazione come la radio, la televisione e in generale tutti i sistemi che utilizzano le comunicazioni senza fili. Eredi la moglie, Marchesa Maria Cristina e la figlia, Principessa Elettra. Nel 1905 all’Osteria Buca delle Campane fu rappresentata la commedia il Cardinale Lambertini, opera del commediografo bolognese Alfredo Testoni che ha per protagonista il Cardinale Bolognese. Fin dal 1958 l’Osteria fu sede della Goliardica Balla dell’Oca, ove è conservata la colonna, attorno alla quale venivano legate le matricole in attesa del processo studentesco. Gli affreschi che adornano le pareti della Sala degli Affreschi sono opera di tale studenti, tra i quali spicca il nome del maestro fumettista italiano Magnus, pseudonimo di Roberto Raviola nato e vissuto a Bologna, la cui arte ha conquistato l’intera Europa.
SESTA TAPPA: I VAMPIRI DI SAN PIETRO…
E mentre gli studiosi continuano a indagare per fare chiarezza sulle sepolture anomale e sui teschi chiodati di San Pietro, emerge un ritratto inedito di una città dalle molteplici identità: la Bologna dei vampiri. La cattedrale, sarà proprio la nostra sesta e ultima tappa del mistero.
L’evento, che si terrà sabato, 5 giugno 2021 (con punto di ritrovo in piazza Galvani, sotto alla statua dello scienziato), partirà alle 19, con guida turistica certificata dalla Regione Emilia Romagna e si concluderà alle 20:30. Auricolari forniti dallo staff, per un eccellente ascolto del tour.
Costo della visita guidata (con accoglienza + guida turistica + radio guide sanificate): € 22,00, in presenza; € 11,00, on line.
Consigliate, scarpe comode.
IL TOUR È A NUMERO CHIUSO.
I partecipanti saranno obbligati a partecipare muniti di apposita mascherina.
Raccomandiamo il rispetto della distanza sociale di 1 metro.
Per partecipare alla visita guidata, è obbligatorio prenotarsi, spedendo un SMS/Whatsapp, al numero +39 3897995877, oppure, mandando un messaggio alla pagina di Facebook “I love Emilia Romagna” (indicate il nome e cognome di ogni partecipante, numero di telefono e almeno un indirizzo email).
La quota di partecipazione, per questioni di esclusività del tour, con ingressi a tappe, prenotati e remunerati in anticipo, sarà da saldare in anticipo, tramite carta di credito (PayPal), oppure, bonifico bancario.
In caso di maltempo, la visita guidata si terrà ugualmente.
Durante l’evento, verranno scattate fotografie, che successivamente, saranno pubblicate sulla pagina di Facebook.
Sabato 12 Giugno 2021 dalle 19.00 alle 20.30
Romanzo di una strage. Stragi crudeli, terribili e misteriose, di una Bologna oscura...
Bologna, 12 giugno 2021, ore 19: Romanzo di una strage (anche on line). Stragi crudeli, terribili e misteriose, di una Bologna oscura…
È un capitolo della città di Bologna, oscuro. L’intensità temporale della maggior parte di questi eventi, aveva generato un diffuso allarme. Sarà una narrazione unitaria di avvenimenti che hanno sconvolto il capoluogo emiliano e l’Italia, tutta. Destato fortissime paure. Emozionato, fatto trepidare e, tuttora, riecheggiano intorno a queste vicende, solidali commozioni…
È arrivato il momento di spiegare fatti rimasti finora in sospeso. Gli italiani hanno assistito inermi ad attentati di ogni genere: omicidi di militanti politici, poliziotti, magistrati. E stragi crudeli, terribili, come quella alla stazione di Bologna, del 2 agosto 1980, che causò 85 morti e 200 feriti e che, nonostante la condanna definitiva dei tre autori, continua a essere avvolta nel mistero.
L’inchiesta di vari autori, esperti interpreti dei materiali delle commissioni, degli atti dei processi e dei documenti “riservatissimi”, mai resi pubblici, hanno tracciato una linea interpretativa sinora inedita, restituendo a ogni tragico evento un’ampia cornice storica e geopolitica, senza la quale sarebbe impossibile arrivare alla verità. L’inchiesta, denominata “La doppia anima” della politica italiana, permette di comprendere un viaggio “sanguinoso”, a ritroso nel tempo, che è proprio culminato nell’esplosione del 2 agosto 1980…
Una città profondamente diversa da come era stata, fino a qualche anno prima. Non più la città pacioccona, accogliente, buontempona e sorridente, non più la città occupata dalla genuina goliardia che l’aveva contraddistinta fino a poco tempo prima, ma una città drammaticamente e irreversibilmente segnata dai foschi anni settanta dell’insorgente terrorismo, che qui ha dato i natali a non pochi gruppi fanatici, utopisticamente rivoluzionari…
Marco Biagi, ammazzato dallo Stato
È la sera del 19 marzo 2002. Il professor Biagi sta rientrando a casa, in via Valdonica n. 14. Sta scendendo dalla bici, quando gli si avvicina uno scooter con due persone a bordo, che indossano caschi integrali. Nella piccola via, situata nel quartiere ebraico, echeggiano sei colpi di pistola. Ad assassinarlo, vigliaccamente, è stato un commando delle Nuove Brigate Rosse. Biagi era docente di diritto del lavoro alla facoltà di Economia dell’Università di Modena e consulente dell’allora ministro del Welfare, Roberto Maroni. Il suo compito era proporre una revisione ragionata delle leggi che regolano il lavoro. Biagi era uno dei massimi esperti mondiali di diritto del lavoro. Un sostenitore integerrimo di progetti concreti e innovativi che lo avevano portato a divenire famoso in tutta Europa, negli Stati Uniti, in Cina e in Giappone. Il suo brutale omicidio sconvolge la città di Bologna. Un quotidiano scrive, di quella vicenda: “Quell’uomo, che rincasa in bicicletta, quei portici, quello snodo di viuzze, quell’urbanità che è dei luoghi e delle persone. Solo chi vive a Bologna può patire fino in fondo l’offesa, la profanazione sporca e vigliacca di un piccolo ordine familiare e di decoro civile.” Marco Biagi lavorava al servizio dello Stato, ma è proprio dallo Stato che era stato abbandonato. Nonostante fosse palesemente in pericolo di vita, Biagi non aveva una scorta. Gli era stata revocata. Gliel’avevano tolta, nonostante le ripetute telefonate di minaccia che aveva ricevuto nel corso dei mesi. Biagi era nel mirino dei brigatisti e lo sapeva. Lo sapevano tutti, a Roma. Chiunque passi dal ghetto di Bologna, si ricordi del cittadino Marco Biagi e consideri quanto sangue è costato, ai bolognesi e agli italiani, conquistarsi una via di casa tranquilla, da pedalare in pace, sotto un portico dove i rastrellamenti e gli spari sono solo la bestemmia degli impotenti.”
Strage del 2 agosto 1980
La transizione tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso a Bologna è stata traumatica: in città era ancora vivo il ricordo dell’occupazione da parte dei mezzi blindati per sedare la rivolta studentesca del 1977, che per tre anni più tardi un vigliacco attentato dinamitardo sconvolse per sempre la città.
Alle ore 10:25, del 2 agosto 1980, nella sala d’attesa di seconda classe della stazione ferroviaria di Bologna esplode un ordigno composto di ventritré chilogrammi di esplosivo a base di tritolo, t4 e nitroglicerina. Un dispositivo a orologeria, come verrà dimostrato, contenuto in una valigetta posta su un tavolino portabagagli, sotto il muro portante dell’ala ovest. La deflagrazione ebbe una potenza tale che rovesciò il treno che si trovava in sosta sul primo binario, provocò il crollo di un’ala dell’edificio, distrusse trenta metri di pensilina e spazzò via il parcheggio dei taxi. È l’attentato terroristico più grave della storia italiana: ottantacinque i morti, duecento, i feriti. Tutti, in città, si adoperano per contribuire a organizzare i soccorsi e aiutare a recuperare i corpi dai detriti. Ma, non c’erano abbastanza ambulanze per il trasporto dei feriti negli ospedali, così vennero impiegati anche taxi, auto private e autobus, in particolare quelli della linea 37, che divenne così uno dei simboli della strage. Il governo negò la matrice terroristica del massacro. Erano settimane, invece, che circolavano voci su un imminente attacco legato al terrorismo nero. Dal giorno successivo alla strage, le indagini della Procura strage5della Repubblica di Bologna, partirono con tempestività e decisione. Presto, iniziò il processo, che terminò otto anni più tardi, con la condanna per l’esecuzione materiale dell’attentato per tre persone. Gli accusati si sono sempre proclamati innocenti. Vengono condannati per depistaggio l’ex Gran Maestro della P2, Licio Gelli e l’ex agente del sismi Francesco Pazienza e gli ufficiali, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte. Ma, i mandanti e il movente dell’attentato rimangono oscuri. Qualcuno, ha azzardato l’ipotesi di un collegamento tra la strage del DC9 di Ustica e quella di Bologna. Spunta, ripetutamente, l’ombra dei servizi segreti, stranieri. Ma, i dossier sono protetti dal segreto di Stato, che la proposta di legge di iniziativa popolare da parte dell’Associazione delle vittime della strage alla stazione di Bologna per “L’abolizione del segreto di Stato nei delitti di strage e terrorismo”, non viene mai discussa in Parlamento, nonostante le centomila firme, raccolte.
Strage dell’Italicus
Attorno all’una del mattino, del 4 agosto 1974, all’uscita della “Galleria degli Appennini”, nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sambro, un ordigno ad alto potenziale, esplose nella quinta vettura del treno Espresso 1486 “Italicus”, diretto a Monaco di Baviera. All’esplosione, seguì un incendio di vaste proporzioni. L’attentato, che determinò la morte di dodici viaggiatori e il ferimento di moltissimi altri, fu rivendicato con un volantino nel quale si leggeva: “Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Seppelliremo la democrazia sotto a una montagna di morti.” I processi instauratisi a seguito della strage, sono stati caratterizzati da esiti diversi. Gli imputati, appartenenti a gruppi dell’estremismo di destra aretino, furono dapprima assolti per insufficienza di prove, poi, condannati in grado di appello e, infine, definitivamente assolti nel 1993. Secondo il superteste Aurelio Fianchini, la bomba era stata messa sul treno dal gruppo del neofascista aretino, Mario Tuti, per ordine del Fronte rivoluzionario e di ordine nero. La carrozza numero cinque dell’Italicus, quella dilaniata dalla bomba, rimarrà per alcuni anni nella stazioncina di San Benedetto, poi sarà fusa come residuo ferroso, tranne un pezzo utilizzato dal ferroviere e scultore, Walter Veronesi, per la fabbricazione del monumento a ricordo della strage.
La strage di Ustica
La strage di Ustica deve il suo nome a un errore. Un refuso delle agenzie di stampa che, la sera del 27 giugno 1980, battono la notizia della scomparsa del DC9, avvenuta alle 20:59. In realtà, l’aeroplano, partito da Bologna con direzione Palermo, si è inabissato al largo dell’Isola di Ponza. La tragedia trova subito un colpevole, secondo un copione tipicamente italiano. Le autorità, infatti, accreditano in fretta la tesi di un cedimento strutturale, causato dall’inadeguata manutenzione. L’eccessiva salsedine, dovuta ai trasporti pregressi di sardine, avrebbe determinato una corrosione delle strutture portanti, sino a provocarne il cedimento.
Purtroppo, la ricostruzione dei fatti si dimostra molto più complessa. La distruzione del velivolo è avvenuta in modo così rapido da aver impedito persino l’attivazione del sistema di erogazione dell’ossigeno. Una dinamica incompatibile con un collasso determinato da guasti tecnici. Anche la tesi di un ordigno detonato nel vano della toilette, a lungo sostenuta da periti autorevoli, non troverà riscontro. Le parti del velivolo recuperate nei fondali, non recano traccia di esplosioni interne. Le ipotesi residue, in realtà, non sembrano molte e la soluzione del giallo di Ustica non è impossibile. Con ogni probabilità, l’inabissamento dell’aereo è dovuto a cause esterne. Ma, uno scenario di guerra aerea, nel quale il DC9 sarebbe entrato per caso, non può essere rivelato all’opinione pubblica. L’ammissione di un’operazione militare nel Mediterraneo può scatenare una crisi internazionale dalle conseguenze imprevedibili. In ogni caso, sarà sufficiente esaminare i tracciati radar per dedurre la presenza di altri aerei nelle vicinanze del DC9. A destra dell’aereo dell’Itavia, viaggia in parallelo un oggetto non identificato. Un velivolo militare che, all’improvviso, svolta a sinistra, proprio in direzione del DC9. Ma, perché un aereo militare decide di attaccare un volo di linea su cui viaggiano innocui passeggeri? E com’è possibile che, nei cieli italiani possa svilupparsi un’azione di guerra, senza che le nostre autorità si accorgano di nulla? L’istruttoria della magistratura romana consentirà una ricostruzione solo parziale dell’accaduto, complici anche i numerosi tentativi d’inquinamento delle prove.
I delitti del DAMS
Titola “Il Resto del Carlino”, il 6 dicembre 1983: “Non esiste il giallo del DAMS.” All’interno dell’articolo, viene citata la testimonianza di uno studente: “Sembra di assistere a un serial televisivo. Noi non siamo impressionati. Studiamo le tecniche della comunicazione e i titoli non ci fanno effetto. Ma, in famiglia sono preoccupati e qualche nostro amico non ha potuto iscriversi quest’anno, perché i familiari pensavano che il DAMS fosse davvero un ambiente frequentato da assassini.” Ma, cos’è successo, tanto da giustificare una tale psicosi?
Fondato nel 1970 da Umberto Eco, il DAMS è un corso di laurea della facoltà di Lettere, orientato alle “discipline dell’arte, della musica e dello spettacolo”. Non ha una sede unica e le lezioni si svolgono presso diversi istituti e dipartimenti. Fin dalla sua nascita, il DAMS è stato nell’occhio del ciclone perché anomalo rispetto agli altri corsi di laurea, indicato, addirittura, come una sorta di “università per fricchettoni”. L’attenzione della cronaca nera sidams catalizza quando la mattina del 31 dicembre 1982 viene ritrovato, in Val di Zena, dalle parti di Farneto, il corpo senza vita di Angelo Fabbri, uno degli studenti del corso di Semiotica di Umberto Eco. Sul corpo sono presenti numerose ferite di arma da taglio. Nessun segno di colluttazione. Questo, fa pensare a un delitto premeditato. Il 15 giugno 1983, il corpo senza vita di Francesca Alinovi, assistente universitaria di ruolo al DAMS, viene trovato nella sua abitazione, in via del Riccio. La ragazza è stata assassinata con quarantasette, piccole, pugnalate. Passa un mese e, quella che sembra una maledizione, torna a far sentire la sua presenza: nel mese di luglio, la studentessa del DAMS, Liviana Rossi, viene uccisa in Calabria, mentre lavorava come stagionale. La sera del 29 novembre, un nuovo macabro ritrovamento: un guardiacaccia trova una borsetta da donna, nei pressi della grotta di Croara e, con un amico, si inoltra nella cava. Viene, così, scoperto il cadavere di una ragazza, nuda dalla vita in giù. Si tratta di Leonarda Polvani, ex studentessa del DAMS e residente a Casalecchio di Reno.
La stampa dell’epoca si gettò a capofitto nella vicenda, collegandola, immediatamente, alla serie di omicidi definiti “I delitti del DAMS” e ipotizzando l’esistenza di un serial killer.
Il rapimento di Francesco Segafredo
Il giovane Francesco Segafredo, 23 anni, noto in città come il “Re del caffè”, sta tornando a casa in via dei Colli, zona signorile e dopo il tramonto, poco frequentata. È al volante della sua auto, ha giù premuto il pulsante del congegno elettronico di apertura del cancello e ne sta osservando i battenti che, lentamente, si stanno aprendo. Improvvisamente, sbuca dal buio un individuo col volto incappucciato, spalanca la portiera e lo afferra per trascinarlo fuori. Francesco reagisce, resiste, ma l’altro fa forza, riesce a fargli tirare fuori piedi e gambe. In quel momento, sopraggiungono altri due malviventi, uno palesemente armato, che lo estraggono violentemente dall’abitacolo, cagionandogli anche una ferita e parecchie escoriazioni e lo immobilizzano. Iniziano le 100 ore di rapimento, che scioccheranno talmente tanto la famiglia, da cedere la sua amministrazione all’attuale proprietario, mister Zanetti. Parleremo della vicenda, proprio di fronte alla prima torrefazione di caffé Segafredo, sita in via Galliera, oggi store Essse Caffé.
L’evento, che si terrà sabato, 12 giugno 2021 (con punto di ritrovo in piazza Galvani, sotto la statua dello scienziato), partirà alle ore 19, con guida turistica certificata dalla Regione Emilia Romagna e si concluderà alle ore 20:30. Auricolari forniti dallo staff, per un eccellente ascolto del tour.
Costo della visita guidata (con accoglienza + guida turistica + radio guide sanificate): € 22,00, in presenza; € 11,00, on line.
Consigliate, scarpe comode.
IL TOUR È A NUMERO CHIUSO.
I partecipanti saranno obbligati a partecipare muniti di apposita mascherina.
Raccomandiamo il rispetto della distanza sociale di 1 metro.
Per partecipare alla visita guidata, è obbligatorio prenotarsi, spedendo un SMS/Whatsapp, al numero +39 3897995877, oppure, mandando un messaggio alla pagina di Facebook “I love Emilia Romagna” (indicate il nome e cognome di ogni partecipante, numero di telefono e almeno un indirizzo email).
La quota di partecipazione, per questioni logistiche e amministrative, sarà da saldare in anticipo, tramite carta di credito (PayPal), oppure, bonifico bancario.
Durante l’evento, verranno scattate fotografie, che successivamente, saranno pubblicate sulla pagina di Facebook.
Buon divertimento con le visite guidate di “I love Emilia Romagna”…